venerdì 25 maggio 2012

TECNICHE DI LETTURA

3 – TECNICHE DI LETTURA


Il desiderio di leggere quanti più libri è possibile non ha a che fare solo con il tempo e la sua organizzazione, ma anche con la velocità di lettura. In questo senso,  fin da ragazzo ho cercato di imparare tecniche, metodi, segreti, che mi consentissero, nel tempo a disposizione, di esaudire quel desiderio, in considerazione anche del fatto che ogni giorno, oltre ai libri, dedico parte del mio tempo alla lettura di due quotidiani,  di almeno un paio di mensili, e di qualche altro periodico, per non parlare dei tanti testi, documenti, messaggi e quant’altro arriva tramite internet.
Per quel che riguarda la stampa, con gli anni mi sono formato una tecnica divenuta spontanea che, comunque, credo sia praticata dalla maggior parte delle persone. E cioè quella di soffermarmi solo su quegli articoli, notizie, argomenti che maggiormente mi interessano o, per loro natura, necessitano di particolare attenzione e approfondimenti. Non si può leggere tutto il giornale da cima a fondo. Ciò richiederebbe un impegno di tempo eccessivo, debordante, soprattutto quando i giornali sono di norma, come nel mio caso, più di uno. Così scorro i titoli, i sommari e, sulla base di questi, decido se dedicarmi o meno alla lettura integrale dei singoli  articoli. Su internet, dove la spazzatura è maggiore, il processo è più o meno lo stesso con eliminazione immediata di quanto non ritengo utile e interessante.
Ma per i libri, come procedere? Come coniugare il tempo che resta con la mole di volumi che si accumulano, che sugli scaffali sono lì in attesa, ansiosi di essere letti? 
Quanta invidia provo per quelle persone che riescono a leggere addirittura un libro al giorno! Perché esistono: Vittorio Sgarbi, ad esempio, o Andrea G. Pinketts e, nel passato, Franklin D. Roosevelt, che ne leggeva addirittura tre al giorno, o la scrittrice Irene Brin, alias Maria Vittoria Rossi.  Come fanno, come facevano?
Naturalmente, dove cercare queste risposte se non, ça va sans dire, nei libri che promettevano di insegnare a leggere? A riguardo, ne ho letti tanti, ma in pratica, due sono stati quelli che mi sono risultati davvero utili: il primo, e forse perché è stato il primo in assoluto che ho letto, è stato “Saper leggere” di Giuseppe Prezzolini (l’edizione in mio possesso, edita da Garzanti, è la quarta, del novembre 1966, per dire a quale età già mi preoccupavo di risolvere in qualche modo il problema), quindi “La lettura strategica” sottotitolo “Tecniche cognitive per leggere di più e meglio” di Graziella Tonfoni e Giuseppe Tassi,  edito da Mondadori informatica.
Si tratta di libri che, al contrario di altri analoghi per argomento, non insegnano le cosiddette tecniche, che trovo inutili a meno che non si sia disposti a praticare i noiosi esercizi che esse richiedono. Offrono, al contrario, consigli e, quindi, motivi di riflessione sul nostro approccio alla lettura, contribuendo così, eventualmente, a cambiarlo, migliorandolo.  
Gli elementi base dai quali tutti partono, comunque, sono due: il primo, propedeutico, consiste nel pianificare un programma minimo di letture; il secondo, fondamentale quando la lettura non è finalizzata a ragioni di studio ma di puro piacere, è quello di cercare di adeguare il grado di attenzione critica e disponibilità verso il libro, mutandola semmai nel corso della lettura stessa, a seconda della risposta più o meno attesa dal libro.
Naturalmente ci sono stati dei nodi da sciogliere prima. Ad esempio, da giovane, ma anche più tardi, da adulto, uno dei problemi che più mi ponevo, rispetto al tempo complessivo di cui disponevo, era se leggere un libro alla volta oppure più libri parallelamente. Per tanto tempo sono andato avanti alternando le combinazioni, ma entrambe avevano dei limiti. Nel dedicarmi a un libro unico, se questo appariva noioso, il limite era quello di dover aspettare di finire di leggerlo prima di cominciarne altri tra quelli che intanto,  accumulandosi, premevano per essere letti;  se, viceversa, decidevo di leggere più libri alla volta, si andava creando  una certa confusione dovuta all’affastellamento di opere e autori, ma soprattutto una superficiale  immersione, uno scarso abbandono nei confronti dei singoli libri. E, allora, ecco che tornavo alla lettura di un libro soltanto, tanto più se, nel leggere più libri contemporaneamente, trovavo quello che mi prendeva. Allora tornavo alla decisione di leggere un libro alla volta, credendo, ogni volta, di tornare alla decisione definitiva. Pura illusione, la danza continuava: se il libro unico che leggevo era bello non mi interessava passare alla lettura multipla, se era noioso mi sembrava di perdere tempo e passavo così alla lettura multipla e viceversa. Ero senza pace, e nella inquietudine perdevo tempo. Dovevo trovare una soluzione che contemplasse i due propositi: leggere bene un libro e, nello stesso tempo, non aspettare di leggere gli altri. Alla fine, come ho anticipato nel capitolo precedente, una soluzione biunivoca l’ho trovata distribuendo la lettura dei singoli e diversi libri in diversi momenti della giornata e della settimana: il libro del pomeriggio, il libro della sera, quello del weekend. Un quarto tempo è quello delle vacanze, per le quali c’è un ulteriore aggiustamento e combinazione, che vedremo. Sulla lettura multipla o parallela mi resta, però, una cosa da dire e cioè che può avere una proficua funzione di scouting, al fine di individuare, tra i tanti disponibili, un libro presumibilmente gradito, la cui lettura appaia piena e totalizzante, in grado di escludere, magari definitivamente, le altre.
Ma, detto ciò, resta ancora la domanda: cosa fare concretamente per leggere più libri, per non affogare nel mare di proposte e, insieme, efficacemente navigare tra esse, per meglio selezionare, e quindi, di conseguenza escludere?
Ecco, allora,  arrivare in aiuto i consigli di Prezzolini e della Tonfoni, i quali hanno avuto il merito, se non proprio di aprire spiragli nuovi, perlomeno quello di rafforzare, grazie al credito scientifico o semplicemente empirico di cui godevano da parte mia, atteggiamenti di lettura che avevo già intuito essere giusti ma ero restio a mettere in pratica.
“Saper leggere” di Giuseppe Prezzolini[1]  è un testo articolato che arriva a parlare di tecniche di lettura solo al capitolo tredicesimo, a pag. 133, quasi a metà del libro. Fino a quel punto il grande scrittore ha disquisito sull’importanza della formazione culturale in genere, rivolgendosi soprattutto ai giovani. Ha parlato degli strumenti necessari alla pratica, dall’apprendimento della lingua per una corretta espressione alla scelta delle antologie, dall’uso dei dizionari e delle enciclopedie alla frequentazione delle biblioteche ed altro, per arrivare poi al punto che qui interessa: “Delle operazioni necessarie alla cultura, la principale è leggere: osservare il mondo, guardare opere d’arte nei musei, sentire della buona musica, conversare con persone dotte, far esperienze, passano tutte in second’ordine. La formazione di una cultura è possibile soltanto attraverso molte letture, e molte letture non si possono fare se non si legge rapidamente”.
Ma, a riguardo, Prezzolini, piuttosto che insegnare tecniche di lettura veloce fa una premessa, da me già accennata, che è alla base di tutti i modi di lettura: e cioè che la velocità di lettura va adeguata agli obiettivi che ci prefiggiamo da essa. E riprende un concetto già espresso da Bacone, per cui: “ci sono i libri da assaggiare, i libri da inghiottire e i pochi da masticare e digerire”. Di fronte a letture profonde come, porta ad esempio Prezzolini, quella di Kant o Sant’Agostino “dove non si tratterrà tanto di star attenti ai particolari, quanto di lasciar quasi svolgere dentro di (noi) una certa azione penetrativa che, per arrivare in tutto il suo spirito, ci mette del tempo”. Più in particolare, è necessario tener presente che chi legge “non corre con l’occhio sulla linea di stampa, ma procede a tratti, afferrando dei pezzettini di essa, come boccate; più grande (è) la boccata, e naturalmente più rapido (è) il processo di trasformare quei simboli che son le lettere stampate in concetti mentali. (…) C’è chi afferra una linea in quattro riprese dell’occhio, e c’è chi lo fa in due riprese soltanto. (…) L’occhio del lettore rapido dev’essere capace di afferrare il senso di una frase intera. Molto spesso non occorre neanche che veda: basta che riconosca il principio delle parole e che indovini il resto”. 
Sostanzialmente, da un punto di vista fisico e mentale, tutte le tecniche di lettura veloce consistono più o meno in esercizi mirati ad allargare lo sguardo, ad afferrare, senza diminuire il grado di comprensione, più righe di un testo. Continua Prezzolini: “A poco alla volta questa capacità di ‘indovinare’ porta il lettore sperimentato a scorrere rapidamente tutta una pagina e da poche parole essenziali che l’occhio vi scorre, indovinarne il senso. Questa è la vera lettura, che non è meno efficace dell’altra, salvo casi speciali”. E’ chiaro, a questo riguardo, che per: “Un filologo potrà leggere tutto un classico soltanto in cerca di una data parola, o di una data espressione, o di un dato tipo di parole”, ma questi sono casi che non rientrano nel nostro discorso.  Né,  però, se l’esigenza è quella di leggere più libri possibili, o, comunque, entrare in contatto con loro per stabilire, una volta aperti, il rapporto con loro, è sufficiente la lettura “a boccate”, più o meno ampie che siano. Una buona mano, ad esempio, la dà anche quella che Prezzolini chiama “lettura d’assaggio”, quella cioè che si fa “scartabellando un libro, guardando al modo come l’autore fa delle citazioni, o mette delle note, o cogliendo il ritmo di un verso o di una frase qui e là. Un conoscitore molto spesso non ha bisogno di ber tutta la botte per saper che il vino val poco, gli basta un bicchiere e nemmeno lo tira giù, se ne sciaguatta la bocca. Non c’è nulla di più ridicolo del lamento di certi autori che un critico loro non li ha letti interamente; alle volte ci saranno delle ingiustizie, ma chi ha fatto esperienza di letture sa che una pagina spesso basta a veder se val la pena di andare avanti”. E questo è un tipo di lettura da non sottovalutare, perché, intanto, certamente contribuisce,  con la verifica del caso, a eliminare  certe aspettative nei confronti di libri non meritevoli dei rimorsi che il non leggerli avrebbero suscitato, e poi, al contrario, ci consente di veder pienamente soddisfatte, subito, quelle stesse aspettative, ripromettendoci una lettura più attenta e generosa.
Personalmente, questo tipo particolare di lettura, io l’ho molto utilizzata negli anni in cui facevo il “lettore” delle case editrici. Un’esperienza che è stata una scuola di lettura veloce, più ancora di quella necessaria a leggere libri col fine di recensirli. Bastava leggere la prima cinquantina di pagine e, quindi, se il testo non andava, com’era per la maggior parte dei dattiloscritti, continuare la lettura “a cucchiaino”, cioè assaggiando il testo qua e là, per farmi un’idea più o meno precisa del libro, di solito un romanzo: struttura, trama, personaggi, stile, messaggio. D’altra parte non era possibile fare altrimenti, né sarebbe stato giustificato dalla qualità dei testi. E questo, ovviamente, al di là del fatto che quello del ‘lettore’ di case editrici è un lavoro ingrato, pagato poco, e di nessunissimo potere decisionale (almeno al mio livello gerarchicamente basso, non certo paragonabile, ad esempio, a quello di un Bobi Bazlen o, più recentemente, di un Giuseppe Pontiggia, i cui giudizi pesavano quasi quanto e più di quello di un direttore editoriale), perché comunque era una gioia, anche a queste condizioni, trovare un libro buono.
Per me è stata una grande esperienza, più di quella che m’ero già formato come recensore di libri.  D’allora, affronto ciascun libro alla solita maniera: comincio a leggerlo, vado avanti per una cinquantina di pagine, se noto che il libro mi piace, mi attrae, se tira insomma, continuo, altrimenti, se comincia ad annoiarmi, a interessarmi sempre meno, prendo a saltare le pagine. A un certo momento decido se vale la pena di continuare o no. In quest’ultimo caso, lo ripongo sullo scaffale. Non me l’ha ordinato nessun medico che devo leggere un testo o un autore che mi fa solo perdere tempo. Perché è certo: letture che non avvincono o, comunque, che avverti come un peso, sono inutili. La lettura viene meno alla sua funzione.
Eppure, lo so, non è facile abbandonare un libro. Qualcosa spinge sempre a trattenerlo ancora in mano, anche se non va, come se si stesse per perdere un’occasione, un’opportunità che non tornerà mai più. Capita soprattutto di fronte ad autori conclamatamente grandi (in questo senso, ad esempio, mi è capitato di riprendere più volte in mano “Il diavolo e Margherita” di Michail Bulgakov, considerato unanimemente un capolavoro, senza mai essere riuscito a concluderne la lettura), meno con gli sconosciuti, ai quali chissà per quali vie sono pervenuto.
Sul lasciar perdere o continuare a leggere un libro che non va, ci sono idee contrapposte. Ad esempio, sia Pontiggia che Pennac, appellandosi al diritto del lettore, suggeriscono di abbandonare il libro che non piace per passare ad altri. La scrittrice Camilla Baresani, invece, nel suo libro “Il piacere tra le righe – Le seduzioni della lettura”[2], sostiene la necessità di portare comunque a termine la lettura di un testo iniziato. Scrive: “Non ha molto senso appellarsi ai presunti diritti del lettore, tra cui quello di lasciare un libro che nelle prime pagine ci annoia – quando invece, proprio come in qualsiasi pratica che conduce al piacere, per esempio nell’erotismo, spesso vale la pena di insistere”. Personalmente, però, sono del parere che ci dev’essere il partner giusto, altrimenti l’erotismo viene meno, in quanto esso si accende e consuma nel rapporto con l’altro. Ma, tornando alla Baresani: “Nella lettura non tutto deve necessariamente funzionare subito: ci sono problemi di comunicazione tra mondi diversi, come possono esserci tra due persone che pure provano reciproca attrazione. (…) Sono molti i libri che ho iniziato a leggere sforzandomi, annoiandomi, spinta solo dalla fiducia nei consigli di qualche altro lettore, per poi riuscire a trovare sintonia più avanti, una sintonia tanto profonda da farmi ripercorrere e quindi rivalutare anche le pagine iniziali. Non ci sono romanzi che ‘partono’ in ritardo. Distratti, affaticati, deconcentrati, leggiamo senza leggere, con la testa altrove, come capita con certe chiacchiere che facciamo meccanicamente, e di cui non ricordiamo più nulla…
Sì, può accadere che quel determinato giorno sei distratto, deconcentrato, ma non così spesso, non il lettore appassionato. Non si va avanti semplicemente perché non c’è feeling con il libro, con l’autore, l’argomento, lo stile. E, allora, appunto, meglio lasciar perdere, prendere un altro libro… Certo, questo non esclude, per motivi diversi, che un giorno si riprenda un libro abbandonato per scoprire qualità che alla prima lettura erano sfuggite. Ciò potrebbe confortare la tesi di Camilla Baresani, ma in realtà parliamo di un evento raro, non della regola.
Un libro, dunque, funziona se è in grado di dirci qualcosa, con il quale confrontarci. In questo caso, perché il rapporto sia più stretto, può anche essere utile quel lavoro che Prezzolini chiama di “scrematura”, quella lettura con il lapis o un evidenziatore in mano “per segnare i passi che piacciono o urtano, le parti più importanti; le idee centrali; delle espressioni felici; delle citazioni rare”.
E ciò va fatto, a mio avviso, anche nella prospettiva di una rilettura più efficace, perché in genere, come annota Jean Guitton nel suo interessante libro “Il lavoro intellettuale”[3] c’è da rassegnarsi al fatto che, anche un libro graditissimo: “…contenga parti deboli, prolissità, ripetizioni o al contrario omissioni, lacune e molti altri difetti”. Tant’è che alla fine lo scrittore suggerisce di concentrarci su pochi libri, “quelli capaci in ogni circostanza di darci un consiglio o un impulso”, per quindi ammonire, citando Marco Aurelio: “Non lasciarti prendere dalla sete dei libri. Tolti dalla vita umana i lavori, gli incidenti, le cure del corpo e del mondo, gli spostamenti, gli avvenimenti casuali, resta poco tempo per la lettura”, così suggerendo di avere pochi libri preferiti sui quali concentrarsi. Il che sarebbe la soluzione del problema, ma è praticamente impossibile, credo lo fosse anche per Guitton stesso. Com’è possibile ridurre la propria smania di leggere a pochi autori e testi quando ogni giorno arrivano libri che non chiedono altro che di essere letti?
La gente comune non sa quanto tempo e quanta fatica costi imparare a leggere. Io vi ho impiegato ottanta anni e ancora oggi non posso dire d’aver raggiunto lo scopo” aveva detto Goethe al suo biografo Eckermann.
E’ così, purtroppo: si spera sempre di imparare a leggere sempre meglio, e sempre di più. In questo senso, fatte salve “le condizioni indispensabili all’acquisizione di una necessaria abilità (che) sono essenzialmente una buona funzione oculare e molta buona volontà”, non esistono vere e proprie tecniche, bensì una sola, di base, che è appunto quella che Tonfoni e Tassi chiamano, come il titolo del loro libro, la lettura strategica. Ovvero, saper decidere  volta per volta che cosa fare davanti a un testo in rapporto ai propri obiettivi” e quindi di “voler leggere in un certo modo invece che in un altro per rendere più funzionale il suo rapporto con la parola scritta e trarne le informazioni o le nozioni necessarie”. E’ un problema di decision making. “La selezione dell’oggetto di lettura” scrivono Tonfoni e Tassi “è un elemento cruciale di questo processo nell’ambito di una complessità sempre crescente, che noi dobbiamo ridurre, senza ipersemplificare. La complessità va gestita, senza rischiare di perdere elementi più importanti per noi e in relazione ai nostri obiettivi”.
Non posso leggere tutti i libri che mi arrivano, che acquisto o che ho nella biblioteca, ma devo di volta in volta decidere quali leggere compatibilmente con i miei bisogni lavorativi da una parte e quelli del sapere o dello svago. “Quindi è molto importante saper alternare momenti di totale direzionamento e razionalità nella gestione di una marea di testi da leggere, selezionandoli accuratamente, a momenti nei quali applicare un atteggiamento più libero, svincolato dalla necessità e dalla funzionalità tipiche della specializzazione (…) E’ molto importante saper leggere su questo doppio binario, anche per motivarci meglio alla lettura e saper gestire in momenti diversi modi diversi per reperire il testo”. In conclusione: “Non esistono ricette per risolvere i problemi in assoluto, ma piuttosto metodi per affrontare i problemi nel modo più appropriato, a seconda delle circostanze specifiche e dei tipi di testo. In altre parole, esiste una sequenza del tipo: scelta del testo, valutazione dell’obiettivo, individuazione del modo e del tempo di lettura”. Diventa pertanto fondamentale, ogni volta che entra un libro in casa, prima di decidere se leggerlo o riporlo nello scaffale seguire una sorta di procedura: scorrere il risvolto di copertina che illustra il contenuto del libro, considerare l’argomento che tratta o la trama di massima, se si tratta di un romanzo, quindi la bio-bibliografia dell’autore e altri dettagli che possono essere il nome del traduttore, se il libro è straniero, il sommario o indice, e magari dare una scorsa alla prima pagina, tanto per assaggiarne lo stile e così via. Una sorta di veloce radiografia che consenta di inquadrarlo per poi deciderne il destino. Una pratica che alla fine, se il libro non attrae subito, può anche equivalere a una lettura definitiva.



[1] Garzanti, quarta edizione, Milano, 1966

[2] Bompiani, 2003
[3] Edizioni Paolini, 1987

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