mercoledì 9 maggio 2012

2 – IL TEMPO DELLA LETTURA


Ora che, dopo una vita nel mondo della comunicazione alle dipendenze altrui,  posso disporre liberamente del mio tempo, in linea di massima mi sono attestato su due momenti della giornata da dedicare alla lettura, ciascuno con obiettivi diversi: un paio d’ore nel primo pomeriggio riservate ai libri da recensire, pertanto una lettura non totalmente libera, bensì riconducibile alla mia attività pubblicistica;  e circa un’ora la sera, solitamente al termine dei programmi televisivi di prima serata, dedicata ai libri di mio gusto e voglia.  Privilegio che mi concedo anche nei weekend, quando però il tempo a disposizione, più o meno lo stesso degli altri giorni della settimana, va ai classici o ai grandi nomi della letteratura (in questo periodo, ad esempio, sono alle prese con il primo volume dei Meridiani Mondadori di Tutte le opere di Borges).  
Leggere quotidianamente i libri che più mi interessano, diviso com’è il tempo con la lettura dei libri da recensire,  è  un’opportunità conquistata solo recentemente, ma inseguita per anni, in pratica fin da quando, finita l’adolescenza, ho cominciato a collaborare ai giornali con frequenza sempre maggiore, via via che mi facevo conoscere nel mio lavoro e, contestualmente, vedevo scemare quello da dedicare ai libri di mia scelta.
Comunque, la preoccupazione di trovare il tempo per la lettura in genere c’è sempre stata, fin da ragazzo. Infatti,  per  quanto riguarda quell’età lontana,  il semplice gesto di mio padre, di regalarmi con continuità libri, non ha soltanto contribuito a rafforzare il mio amore per la lettura ma anche – nell’economia di una giornata che prevedeva la scuola, i compiti, i giochi con gli amici – a cercare di uscire dal campo dell’occasionalità con un’organizzazione del tempo in cui la lettura fosse prevista.
I miei diari di gioventù, che conservo, sono pieni di tabelle con gli orari degli impegni e programmi da assolvere, comprensivi, oltre che degli obblighi scolastici e dell’attività fisica,  che non trascuravo, della necessità di trovare il tempo per scrivere (la mia vocazione di scrittore si manifestò precocemente) e, appunto, per leggere.
Una ricerca, questa,  mai accantonata in ragione delle condizioni esterne che inevitabilmente tendevano a modificare la vita.
Il primo significativo cambiamento lo ebbi quando il 10 marzo 1971, all’età di 24 anni, venni assunto in Telecom Italia (allora chiamata SIP) e da un giorno all’altro, per cinque giorni a settimana -  dopo che, guadagnatomi il diploma magistrale nel luglio del 1969, mi ero per circa due anni trastullato nel migliore dei modi - mi ritrovai con  tante ore di meno a disposizione: 8 di lavoro e un paio circa di trasporto da casa all’ufficio e viceversa, che nel loro insieme avevano anche il potere di  svuotarti della voglia di fare altro.  Senza contare che nel tempo residuo  c’erano altri  impegni da soddisfare, uno dei quali poteva essere quello, non indifferente, di stare un po’ con la fidanzata.
Da quel momento, il tempo a disposizione principe era dato dai weekend e dalle ferie, fermo restando che la sera, bene o male, riuscivo sempre a leggere almeno i libri da recensire (all’epoca collaboravo con il quotidiano socialista Avanti!). 
Altri cambiamenti  si ebbero dopo che, nel 1972 mi sposai, nel 1977 nacque la mia prima figlia e, subito dopo,  nel 1978 la seconda, quindi nel 1981 quando nella stessa Sip fui chiamato a seguire la Stampa Aziendale, nel cui ambito avrei fatto carriera fino a diventare dirigente, e ad ogni avanzamento con responsabilità sempre maggiori che oggettivamente riducevano il tempo libero all’interno del quale – sottratti gli obblighi famigliari e mondani – potermi dedicare alla lettura (e scrittura).  Pertanto, a tal fine, l’organizzazione del tempo acquistava per me un’importanza tale da rendere assillante la ricerca di esso.  Se molto, naturalmente, si concentrava nel weekend e durante le ferie, non potevo altresì stare un’intera settimana senza leggere e scrivere. Le soluzioni a riguardo erano di volta in volta le più diverse.
Ad esempio, non sempre, ancora lavorando in azienda, mi sono trovato ad avere poco tempo a disposizione. Negli ultimi due anni lavorativi ne avevo a iosa, e proprio nel corso della stessa giornata di lavoro. Era accaduto che l’azienda, che fino allora mi aveva affidato tante responsabilità, decise di chiudere il settore editoriale che mi aveva affidato, con un budget, allora, di 12 miliardi di lire, 18 collaboratori, consulenti e fornitori da gestire. Da un giorno all’altro, non rimase più nulla. I miei collaboratori furono indirizzati in altre funzioni aziendali ed io, col mio stipendio di dirigente e l’esperienza ultratrentennale, in una stanza a non far nulla. Soccombevo all’entusiasmo per la comunicazione on-line, internet, intranet, il nuovo credo… L’editoria tradizionale, la vecchia stampa aziendale, sembrava un residuato bellico, come chi ne era il responsabile. Così, ancora relativamente giovane e carico di energia, me ne stavo chiuso nella mia stanza, per essere chiamato al massimo per svolgere lavoretti umilianti, da professional, disposti da superiori che mi potevano essere quasi figli, sicuramente al passo con i tempi per quanto riguardava la comunicazione, il marketing, la pubblicità, ma che non sapevano dove stava di casa la gestione dei collaboratori e del budget, ai quali io invece avevo dedicato religiosa attenzione. Così, in quei due anni, in una situazione non facile da sopportare – era quel mobbing di cui tanto si parla – a poco a poco, per non cadere in depressione, mi misi alla ricerca di un’àncora di salvezza e la trovai, naturalmente, nella lettura. Perché non utilizzare proficuamente quel tempo inutile a cui mi avevano condannato? Fu in questo modo che il pomeriggio diventò il tempo da dedicare ai libri da recensire, liberando la sera che, sin d’allora, diventò il momento da dedicare alle letture personali. Forse, chissà, dovrei essere grato, per questo, alla gestione aziendale che mi ha liquidato… Anche perché, di conseguenza, in questo modo si è d’incanto liberato anche il tempo che dedicavo alla lettura nei weekend, il quale, se fino a quel momento, lo avevo, appunto, riservato alle letture libere e personali, ora potevo aggiungere una nuova combinazione, grazie alla quale potevano trovare spazio una tipologia di libri che avevo preso a frequentare, con mio disappunto,  sempre più raramente: quei classici, che erano stati il pane della mia gioventù. Cominciai con i francesi, Zola, e poi Balzac e Flaubert, rilessi qualcosa di Hugo e Stendhal. E, poi, Conrad e, per la prima volta, Ippolito Nievo che mi entusiasmò, facendomi anche capire, per la sua rivoluzionaria laicità venata di anticlericalismo, perché, al contrario del cattolico Manzoni, sia così poco frequentato nelle scuole italiane.
Quegli ultimi due anni di mobbing a fine carriera, mi sono serviti, comunque, a preparare il terreno per quando sarei andato in pensione, dove avrei mantenuto sostanzialmente la divisione della lettura nei tre momenti: pomeriggio,  sera e week end. L’unica differenza rispetto all’ufficio era che a casa potevo leggere nel mio posto preferito, nel mio studio, disteso sul divano e qui, eventualmente, consentirmi anche la pausa di una breve pennichella. Per circa cinque anni ho goduto della più totale libertà in questo senso.  Quindi, un nuovo cambiamento: nel settembre del 2007 è arrivato il primo nipote, Diego, e con lui gli obblighi derivanti dal ruolo dei nonni che, come si sa, in una società carente di servizi qual è quella italiana, è fortemente gregario e d’aiuto per il tempo che i genitori lavorano. Dopo Diego altri due nipoti, per il momento, Matteo, nel 2010, e Rebecca nel 2012.
Ma, in sostanza, il fatto appunto di essere libero da vincoli di dipendenza lavorativa e che il carico maggiore nell’accudimento dei nipoti ricada, nel mio caso, sulla nonna, mi consente attualmente di scrivere tutte le mattine e leggere nei momenti prescelti.
In questo quadro, però, a fare i conti con il tempo, s’inserisce anche un aspetto psicologico di non poco conto, che nasce dal consistente numero di libri presenti nella mia biblioteca, attualmente superiore agli 8000 volumi (sarebbero stati di più, ma tanti, negli anni, li ho regalati), molti dei quali non ho letto. Il rammarico però è tale da avvertire la loro presenza fisica di oggetti, ciascuno dei quali ho trattenuto per un motivo che non ha, necessariamente, a che fare con il loro contenuto, ma con elementi diversi che stanno lì a suggerire potenzialità di lettura futura.  Un certo senso di onnipotenza vorrebbe farmi credere, illusoriamente, che vivrò abbastanza da leggerli tutti. Ma so, per certo, che è impossibile. Ci ho provato in tutti i modi. Ci sono stati addirittura periodi in cui la mia giornata cominciava con la lettura, al bagno, prima delle abluzioni mattutine, seduto sulla tazza. Nel mezzo della giornata, poi, ricavavo altri momenti da dedicare ai libri, durante il percorso in metropolitana per andare e tornare dall’ufficio, nella pausa pranzo, prima di cena e così via, senza, con ciò, riuscire a sconfiggere la mia bulimia di lettore, il senso di impotenza che mi assaliva di fronte alla massa di libri che mi ritrovavo (e ritrovo) in casa, che scoprivo nelle librerie e sulle bancarelle lungo la strada e che, inevitabilmente, continuo a comprare, senza ovviamente considerare  quelli che mi arrivano dagli uffici stampa delle case editrici per le recensioni. Vorrei leggere tutti i libri che, per un motivo o l’altro, mi attraggono: per aver suscitato interesse o curiosità dopo averne letto la recensione o sentito parlare; oppure, più probabilmente, per il nome dell’autore o la sua area di appartenenza (non tralascio di accumulare, ad esempio, nulla o quasi che venga dai Balcani e dalla Grecia); per l’argomento, la storia che racconta, così come, solo, per il titolo o la copertina, il formato, la grafica, la stampa, il testo del risvolto, financo per la foto dell’autore, cioè per tutti quei componenti del libro che si definiscono “paratesto”. Alla fine ho capito che è praticamente impossibile leggere tutto, sebbene, imperterrito, continui a portare libri in casa con la seria e convinta intenzione che ce la farò. D’altra parte, comprare o, comunque, acquisire libri, come già ricordava Schopenhauer, ha tempi infinitamente inferiori rispetto a quelli richiesti dalla lettura e, quindi, gran parte di essi si accumula sugli scaffali senza essere letti.
Quando, transitoriamente, per pochissimi anni - quelli compresi tra l’andata in pensione e la nascita del primo nipotino - ho avuto con continuità giornate intere a disposizione, ho potuto verificare che c’è un limite temporale che pone dei limiti oggettivi al consumo dei  libri, rapportate come sono le ore che dedichiamo ad essi da una parte alle cose della vita (anche quelle più semplici e necessarie, come il cibarsi e il dormire, ma anche le cure della salute, della famiglia e degli affari), e dall’altra alla mole dei libri stessi, alla loro facilità o meno di lettura e relativa velocità di scorrimento.
Tante volte, di fronte allo scoramento che mi prende, mi sono trovato a stendere ancora nuovi piani di lettura, che poi, inevitabilmente, sollecitato dall’incalzare di altri libri, non seguo. Ma pur se li rispettassi, mi sono accorto che rappresenterebbero, comunque, una sconfitta. Facendo un semplice calcolo approssimativo, la mia media annua di lettura si aggira su un paio di centinaia di libri (compresi quelli iniziati e poi tralasciati per scarsa corrispondenza con essi). Una pianificazione ponderata ed essenziale richiederebbe anni che oggettivamente superano la vita media di un uomo, ancor più quella di un ultrasessantenne quale io ormai sono. E per gli anni che, statisticamente, mi restano da vivere dovrei praticare il blocco di qualsiasi nuovo ingresso,  limitandomi a leggere solo i libri già in mio possesso. Ma anche questo è praticamente impossibile, a meno che, come Robinson Crusoe, non mi trovassi su un’isola disabitata.
L’unica soluzione, alla fine, non resta che quella di porsi obiettivi modesti, il più possibile realistici, che tengano conto dello stile e dei ritmi di vita, degli obblighi, degli altri interessi, delle priorità connesse al tempo che, più o meno, con una certa elasticità, in una giornata si può dedicare alla lettura. Ed è quella alla quale sono pervenuto con i due tempi quotidiani e la diversificazione nei weekend, che mi permette di muovermi contemporaneamente su tre linee. Anche se, devo ammettere, che nessuna delle soluzioni che io stesso negli anni, fino a quest’ultima, sono riuscito in qualche modo via via ad adottare mi hanno pacificato: talvolta, per qualche contrattempo, magari un libro deludente, spuntava sempre l’inquietudine di trovare qualcos’altro che potesse dare maggiore soddisfazione al desiderio di fare miei tutti i libri che avrei voluto leggere. Inquietudine che, credo, colga tutti coloro che, al pari di me, trovano nella lettura uno di quei bisogni che, come ha bene scritto Maurizio Bettini, rientri “fra le funzioni fisiologiche, o meglio (…) un’aggiunta necessaria, una seconda voce che si accompagna(va) al resto della vita quotidiana”.[1]
Certo, oggi, rispetto al passato, la grande conquista consiste  nell’aver liberato la sera dell’obbligo di leggere i libri da recensire  offrendola  ai libri che più  mi aggradano.  Una conquista non da poco, non solo per aver così ovviamente aumentato il cespite di libri, ma anche, soprattutto, perché una cosa è leggere libri scelti in piena libertà, un’altra con l’obbligo poi di doverne scrivere. Anche perché non sempre dai libri da recensire si trae quella soddisfazione che uno persegue e si attende, e non solo perché è una lettura indotta da circostanze e obblighi esterni. Non si prenda questo mio atteggiamento come una mancanza di rispetto nei confronti dei libri e degli autori trattati. Capita, anzi, tra i libri da leggere per  “lavoro”, di incappare talvolta in alcuni che riescono a coinvolgermi in maniera tale da farne lettura anche serale, nell’impazienza di attendere l’indomani, lasciando inevitabilmente indietro l’altro.  
Per cui il tempo si rivela sempre insufficiente.  
E, allora, ancora: come ricavarne altro per la lettura? Perché ce n’è, ce n’è… Se solo consideriamo il tempo buttato via a guardare la televisione! Il degrado culturale introdotto dalle tv commerciali, che ha finito per influenzare, fatte salve alcune trasmissioni, anche la RAI, ha raggiunto ormai limiti tali da non giustificare più la nostra primitiva dedizione. Non sarebbe meglio riservare quel tempo alla lettura, piuttosto che saltabeccare da un canale all’altro alla ricerca di qualcosa d’interessante o, quanto meno, di decente? Si tratta, a questo punto, solo di informarci consapevolmente sulle trasmissioni della serata, così come facciamo quando scegliamo un film per andare al cinema. Le fonti d’informazione, dal giornale quotidiano al settimanale specializzato, non mancano: si controlla l’offerta, la si valuta e, se questa risponde ai propri interessi, si accende il televisore solo all’ora e per il tempo necessario a seguire il programma prescelto. Si riduce così, tra l’altro, la schiavitù nei confronti di un media ammaliatore come la televisione, che alla resa dei conti offre molto meno di quello che promette e che ha solo nel magnetismo delle immagini, al di là dei contenuti, il suo punto di forza. Nei suoi confronti, l’uso della intelligenza (e della volontà) rappresenta l’unica arma. Non per contrastare o combattere la televisione, ma solo per usarla meglio. Anzi, un utilizzo intelligente, se generalizzato, potrebbe imporre ai produttori – anche se ne dubito, perché ragionano in termini non di qualità dei programmi, ma di audience – un maggior rispetto per il pubblico, anche nelle trasmissioni cosiddette di varietà, che possono avere motivi di divertimento meno volgari di quelli attuali. E’ chiaro che di fronte a un pubblico composto da persone che lavorano, alle prese con i tanti problemi e affanni quotidiani, o semplicemente ingrigito tra le mura della propria casa – penso a tante casalinghe, ai tanti anziani – l’intrattenimento ha la meglio rispetto a una televisione di contenuti. Certo, il libro, come strumento di evasione, richiede da parte del lettore un grado di interattività, di sforzo, che nei confronti della televisione è inesistente o quasi. Non senza fare danni, soprattutto da parte delle tv commerciali che, interamente votate all’intrattenimento, contribuiscono in maniera decisiva alla perdita di coscienza del proprio sé sociale e civile, al punto da produrre una percezione della realtà  indotta dalla televisione stessa,  per cui non solo un fatto è accaduto o un personaggio è importante a seconda se è apparso o appare in tv, ma lo stesso metro di giudizio si ferma sull’epifenomeno di questo o quel personaggio televisivo, verso il quale s’investono i propri sentimenti di simpatia o antipatia, di ammirazione o disprezzo, del tutto dimentichi del suo profilo assolutamente virtuale. Sta qui il successo delle veline, dei tronisti, delle letteronze dei grandi fratelli e compagnia bella. Il peggio è quando la strumentalizzazione si fa politica e si gioca la partita per il potere sulla pelle della massa ormai indifesa che, come  ben sa il tycoon delle tv commerciali prestato alla politica “non legge i giornali”, figurarsi i libri. La sua improntitudine, in spregio non solo delle più civili norme istituzionali ma degli elettori stessi, è arrivata addirittura a  voler candidare alle elezioni del 2009 per il parlamento europeo ben 21 veline su 72 deputati richiesti:  una provocazione, come si sa,  finita poi nel tritacarne dell’affaire Noemi,  Ruby,  Nicole Minetti e compagnia e nel “ciarpame”, come l’ha definito la (ex) consorte di Berlusconi, Veronica Lario, che tutto ciò rappresentava.
L’unico aspetto positivo, se vogliamo trovarne uno, è che, con questo sistema, se capita – come talvolta capita – di parlare di un libro in tv, o quantomeno in certe trasmissioni di grande ascolto, si trova gente disposta, proprio per i motivi di visibilità che dicevo, a comprarlo. Anche se poi raramente si presenta il libro per le sue intrinseche qualità letterarie, bensì per essere il suo autore prima di tutto un personaggio. Un altro discorso è se il libro promosso venga poi letto dopo essere stato, come assicurano le statistiche, comprato. Ma io spero di sì. Perché l’importante, intanto, è leggere, comunque e qualunque cosa, per acquisirne l’abitudine. Perché, una volta fatta propria, seguendo i percorsi prediletti, senza divieti di alcun genere verso nessun tipo di libro purché sia un libro, si può anche pervenire a forme di soddisfazione, di intimità con se stessi, che per quel tempo possono tenere lontana la brutta tv. E ciò, oltre che essere un punto a favore della civiltà, può rappresentare soprattutto l’inizio di un nuovo viaggio. Perché l’esperienza della lettura è assimilabile a quella di un viaggio, se compiuto con quella brama di scoperta capace di svegliare l’Ulisse che è in noi. Una ricerca senza fine, che non perviene a nessuna Itaca (come scrive Kavafis: “Itaca ti ha donato, essa, il bel viaggio./ Senza di lei non ti mettevi in strada./ Altro non ha da darti essa di più”), per cui finito un libro se ne comincia un altro e poi un altro ancora, nutrendo così lo spirito, arricchendolo, aiutandoci a guardare meglio intorno e dentro di noi, nella vita di tutti i giorni, magari così pervenendo anche a un più equilibrato rapporto con la televisione, quel tanto almeno da sottrarle quel potere di persuasione occulta che, al pari della peggiore droga, devasta le nostre menti.
Ma, sempre alla ricerca del tempo, non si esauriscono qui, nel sopravvento al dominio televisivo, tutti i momenti che è possibile dedicare alla lettura.
Quante sono, ad esempio, le attese estemporanee? Quando si va agli uffici postali, con quelle lunghe file agli sportelli, o dal medico per una visita… Più in generale, quanti sono, in una vita, i momenti di attesa? E quanti libri si possono leggere nella somma di quei momenti? A riguardo, un’amica, Patrizia Raveggi, oggi direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Il Cairo, in Egitto: “Un giornalista di vaglia suggeriva ai giovani di non sprecare i ritagli di tempo, di usare bene le tante attese di cui è intessuta la nostra quotidianità etero-movente: autobus ecc. Tu giustamente citi per prime le attese infinite dai medici e nei luoghi del denaro e della burocrazia. E’ così che alcuni astutamente apprendono nuove lingue, giorno per giorno, autobus dopo autobus, banca dopo banca, et voilà, alla fine parlano russo o svedese, e neppure se ne sono accorti. Non sono convinta però che tutti questi consigli valgano a spingere alla lettura chi non ne sente il desiderio. In realtà, questi che tu fai, sono discorsi in codice, consigli a chi già per conto proprio ama leggere e non può farne a meno. La maggioranza che tace e non legge, non è neppure approdata alle tue righe… Il tempo della lettura non le si presenta”.
E’ tanto vero che basta la mia vita stessa a dimostrarlo, nel corso della quale non ho mai smesso di leggere, sempre combattendo contro il tempo.  
Anche per questo, durante la mia vita lavorativa, esultavo all’arrivo delle ferie: oltre che per lo stacco dal lavoro e la possibilità di stare più a lungo con la mia famiglia, anche per le opportunità di lettura che mi offrivano. Di solito erano tre settimane piene, in vista delle quali la scelta dei libri da mettere in valigia diventava fondamentale. E, in realtà, lo è ancora oggi quando parto per una vacanza, pur ormai avendo la fortuna di non essere più condizionato dai giorni limitati delle ferie. Ma la vacanza, l’abbandonare per qualche tempo la casa e le abitudini e gli impegni di Roma, a cominciare dalle collaborazioni giornalistiche, per andare altrove implica, prima di tutto la scelta dei libri da portare con sé, tanto più complicata quanto è più è lungo il periodo dello stacco (ed ora, per me, lo stacco è molto più lungo di prima: le tre settimane si sono per lo meno raddoppiate).  Intanto, di fronte ad esso, avverto, più che in altre occasioni, la necessità di dare fondo a quei libri che durante l’anno non sono riuscito ad aprire. Una scelta molto ardua, nella quale non è ammissibile sgarrare, sia per il peso che rappresentano nella valigia sia per l’impossibilità successiva di cambi, condizione che mi spinge poi a infilare sempre libri in eccedenza rispetto al tempo a disposizione previsto (di solito un paio di mesi).
A riguardo, mi sono ampiamente ritrovato in quel testo del 1952 di Italo Calvino intitolato “I buoni propositi”[2]: “Il Buon Lettore aspetta le vacanze con impazienza. Ha rimandato alle settimane che passerà in una solitaria località marina o montana un certo numero di letture che gli stanno a cuore e già pregusta la gioia delle sieste all’ombra, il fruscio delle pagine, l’abbandono al fascino di altri mondi trasmesso dalle fitte righe dei capitoli. Nell’approssimarsi delle ferie, il Buon Lettore gira i negozi dei librai, sfoglia, annusa, ci ripensa, ritorna il giorno dopo a comprare; a casa toglie dallo scaffale volumi ancora intonsi (…) Si tratta, per esempio, di uno dei grandi romanzieri dell’Ottocento, di cui non si può mai dire di avere letto tutto, o la cui mole ha sempre messo un po’ di soggezione al Buon Lettore (…) Questo, s’intende, non è che il piatto principale, poi occorre pensare al contorno. Ci sono le ultime novità librarie delle quali il Buon Lettore vuole mettersi al corrente (…) e bisogna anche scegliere un po’ di libri che siano di carattere diverso da tutti gli altri già scelti, per dare varietà e possibilità di frequenti interruzioni, riposi e cambiamenti di registro. (…) I libri scelti sono tanti che per trasportarli tutti occorrerebbe un baule. Comincia il lavoro di esclusione…”.
Naturalmente, alla fine, pur nel lavoro di esclusione, i libri che mi porto dietro sono sempre in eccedenza rispetto alla possibilità di lettura pur offerta dalla vacanza. E, infatti, non riesco mai a leggerli tutti. Però, il numero superiore mi consente di avere a disposizione un ventaglio maggiore di titoli e di autori da leggere, così da assecondare le mie esigenze interiori del momento. Senza poi tener conto che se, puta caso, finissi di leggere tutti i libri prima del termine delle vacanze, sarebbe un dramma. Perciò, sì, molto meglio “abundare”…
Certo, ciò vale solo ed esclusivamente per il Buon Lettore. Colui che non ama leggere, per riprendere la sconsolata verità di Patrizia Raveggi, il tempo per farlo non gli si presenterà neppure in vacanza. Avrà sempre qualcos’altro di più importante da fare.  





[1] Maurizio Bettini, “Con i libri”, Einaudi, Torino, 1998
[2] In “Mondo scritto e mondo non scritto”, Oscar Mondadori, Milano 2002

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