mercoledì 11 luglio 2012

"IO SONO IL LIBANESE" DI GIANCARLO DE CATALDO (EINAUDI STILE LIBERO)

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 10-7-2012
ROMANZO CRIMINALE
UN PASSO INDIETRO
“Io sono il Libanese” di De Cataldo
di Diego Zandel
Vi ricordate il prologo di “Romanzo criminale”, il capolavoro di Giancarlo De Cataldo?  Cominciava con il pestaggio di quattro “pischelli” a un uomo che “qualche anno prima, solo a sentire il suo nome, si sarebbero sparati da soli, piuttosto che affrontare la vendetta”, perché quell’uomo aveva fatto parte della banda della Magliana. Tant’è che, quando incredulo, si alza dalla polvere grida “Io stavo col Libanese!”. Cioè con colui che della banda della Magliana è stato l’ispiratore, il capo.
Ebbene, ora De Cataldo torna su questa figura, cogliendola all’inizio della sua carriera criminale fino a quando sostanzialmente ha inizio “Romanzo criminale” con il sequestro del barone Rosellini, e lo fa con un romanzo asciutto, veloce, dalla presa immediata “Io sono il Libanese”, edito da Einaudi Stile Libero.
Incontriamo il Libanese in carcere per un traffico di armi, preso in simpatia da un boss camorrista Pasquale  ‘o Miracolo, del quale si trova a salvare il prediletto nipote Ciro, in carcere pure lui, da un’esecuzione da parte di una banda rivale. La gratitudine del camorrista, appartenente alla corte di don Raffaele Cutolo,  ‘o Professore, si accompagna anche alla inespressa richiesta di sudditanza. Ma il Libanese non è il tipo. Da tempo, con i suoi amici di lungo corso, Dandi, Bufalo, Scrocchiazeppi e poi gli altri personaggi che entreranno a far parte della epopea della banda, il Libanese riflette sulla necessità di darsi una struttura di tipo “militare”, con una gerarchia, una cassa comune e quant’altro secondo gli schemi della criminalità organizzata. Nella sua Roma infatti non esiste tutto ciò, come tutti i romani sono “anarchici, individualisti, allergici alla disciplina”. E lo scotto che si paga è sempre quello di ritrovarsi, dopo un colpo, “di nuovo al palo, a spremersi le meningi per campare la giornata dell’indomani”.
L’occasione gliela offre Pasquale ‘o Miracolo con una proposta: c’è una nave che partirà con un carico di droga, il Libanese può entrare nell’affare con 300 milioni di lire. Il resto poi verrà da se: il Libanese e i suoi “compagni, i suoi fratelli, la sua gente” diventati una banda organizzata , con quella “roba” inonderà la capitale, mettendo all’angolo tutti i piccoli trafficanti il cui (piccolo)  potere è sparso tra i vari quartiere. Sarà la realizzazione del suo sogno: prendersi Roma ed essere loro dettare legge, respingendo, tra l’altro l’assalto sia da parte della camorra che dei marsigliesi che puntano allo stesso obiettivo.
Trovare pertanto i 300 milioni che gli consentono di entrare nell’affare sarà la prima preoccupazione del Libanese. Ed è nel corso di questa caccia, che si nutre di continue delusioni, che l’uomo fa un incontro che avrebbe potuto cambiargli la vita. L’incontro con una ragazza bellissima, una Dea, come la vede, Giada, figlia di una ricca famiglia borghese, studentessa universitaria e, in quel tempo di  ribellioni sessantottine, fanatica militante di gruppi estremisti di sinistra che, contraddittoriamente al suo stato sociale, inneggiano al potere proletario.  E nel Libanese, nella sua vita, nella sua storia, Giada, scopre uno straordinario rappresentante  di quella classe. La scintilla tra  i due scoppia quando il Libanese la salva da un coma per overdose. Lei si fa, così come un suo amico, che poi si scopre essere gay,  anche lui di famiglia ricca, uno che odia il padre e che, in qualche modo, ne favorisce il sequestro da parte di Libano e dei suoi compagni. Un sequestro che avrà risvolti  comici e deludenti e che spingeranno ancor più il Libanese ad affinare la sua professionalità.  Ma la strada è lunga e difficile perché il Libanese,  nonostante i sogni  di gloria, si perde con facilità, basta un tavolo verde, un’occasione facile, quelle tentazioni che lo accomunano più a un ladruncolo o rapinatore di strada che al capo di una banda che vuole conquistare il controllo di una città. Tanto da perdere così anche Giada. Ma la lezione evidentemente gli servirà.
Il romanzo conferma le grandi doti narrative di De Cataldo e la competenza, evidentemente frutto dell’altro suo lavoro di giudice, dell’ambiente, del suo linguaggio, delle sue crude leggi  e, considerata la spietatezza che lo circonda,  delle psicologie necessarie a sopravviverci. Anche se, proprio ammirando le  sue straordinarie qualità, non lo vorremmo ostaggio della banda della Magliana.
       
Diego Zandel
Giancarlo De Cataldo, Io sono il Libanese, Einaudi Stile Libero, pag. 131,  €.13,00         

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