LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 5-5-2012
La diplomazia italiana in Cile dopo il golpe di Pinochet, nel racconto del testimone Emilio Barbarani
In “Chi ha ucciso Lumi Videla?” la storia vera, quasi un romanzo, dei richiedenti asilo sotto la nostra bandiera
di Diego Zandel
Con la caduta, l’11 settembre 1973, del governo legittimo di Salvador Allende per mano dei militari golpisti di Pinochet, l’Italia d’allora non riconobbe il nuovo regime. Da quel momento la rappresentanza diplomatica non venne accreditata ufficialmente, mentre l’ambasciata stessa divenne luogo di riparo di molti oppositori del regime, uomini del Mir, il Movimiento izquierda revolucionaria, del Partito comunista cileno, socialisti, ed anche di qualche manipolo di delinquenti comuni, forse qualche spia, per un totale, negli anni, di 750 persone, uomini, donne, bambini. Merito dell’ambasciatore Tomaso de Vergottini, un profugo istriano, figlio di un infoibato, che ben conosceva per esperienza personale, cosa si cela dietro una dittatura, di destra o di sinistra che sia, in cui l’arbitrio e la violenza prevalgono sui diritti civili e umani, e la persecuzione delle persone arriva fino all’annientamento delle stesse. A dargli una mano fu mandato a Santiago, poco più di un anno dopo il golpe, Emilio Barbarani, fino a quel momento console italiano a Buenos Aires, per assumere così il ruolo di Consigliere d’ambasciata e diventare il braccio operativo nella gestione dei rapporti tra l’Ambasciata italiana, gli asilati politici, come venivano chiamati, che l’affollavano - al punto da costringere l’ambasciatore a vivere, con la moglie Anna Sofia, in un’altra residenza - e le autorità militari che tenevano in pugno, con ogni mezzo, il paese.
Di quella esperienza Emilio Barbarani ci fa un racconto appassionato, intenso, di grande presa narrativa ed emotiva per restituirci una storia che ha il fascino di un romanzo di Le Carrè e la forza di una testimonianza diretta in cui gli eroi e gli infami non sono personaggi ma uomini con nome e cognome, e le donne, tutte stupende e sensuali, sono di carne e ossa, cuore e mistero, molto mistero. Il titolo del libro, edito da Mursia, è “Chi ha ucciso Lumi Videla”, ed è molto significativo dell’intera vicenda, perché Lumi Videla era una giovane donna, militante del Mir, che fu trovata morta, uccisa, dentro le mura dell’ambasciata. Il suo cadavere fu gettato nottetempo dai sicari del governo di Pinochet, la feroce e temuta DINA, Dipartimento interforze della sicurezza nazionale, che agiva per conto di Pinochet al di fuori anche delle forze dell’ordine tradizionali come la polizia e i carabinieros nella impunità più assoluta, ma il reato fu addebitato agli oppositori raccolti nell’ambasciata: la versione ufficiale spacciava la morte di Lumi, compagna di un altro rivoluzionario, morta nel corso di un festino sessuale che si sarebbe svolto al suo interno. Per questo motivo, e finché non si fossero trovati i colpevoli, nessuno degli asilati avrebbe potuto lasciare, con il salvacondotto internazionale, l’ambasciata e il paese. Sarà compito di Barbarani assicurare il processo. E lo farà grazie a un giudice coraggioso e indipendente che, seppure non troverà i veri colpevoli (ma questi, uomini della DINA, saranno assicurati alla giustizia anni dopo) accerterà senza ombra di dubbio che l’omicidio della donna era avvenuto fuori delle mura dell’ambasciata (ci fa poi sapere Barbarani che quel giudice, Eduardo Araya, subito dopo la sentenza passò nelle file dei desasperacidos). Da quel momento - anche per i rapporti che contestualmente Barbarani teneva con i famigerati capi della Dina (autentici nazisti), col ministro degli Esteri cileno, del quale l’allora giovane diplomatico aveva conquistato la bellissima figlia Paula, ed altri emissari, tra cui la spia della DINA, la favolosa Wanda - furono permessi i trasferimenti. I primi 40 ad andarsene, destinazione Cuba, furono i rivoluzionari del Mir, con a capo il prestigioso Sotomayor, quindi i comunisti guidati dall’autorevole Chavez: uomini che fino a quel momento avevano garantito ordine e disciplina all’interno dell’ambasciata, e quindi sicurezza allo stesso Barbarani che veniva protetto dai loro uomini in armi, avendo scelto di vivere con essi. I trasferimenti dall’ambasciata all’aeroporto non erano semplici. Lungo la strada erano appostati i sicari della DINA pronti a colpire i capi, e infatti a scortarli oltre a un coraggioso Barbarani che faceva loro scudo con la sua persona, erano diplomatici di altre ambasciate di paesi democratici. Ma il racconto non finisce qui. Si complicherà ulteriormente quando a chiedere asilo non saranno più gli oppositori, bensì un alto dirigente della Dina stessa, il colonnello Daniel Ramirez Montero, con moglie e figlio. Un uomo che sapeva troppo. E il regime, questa volta, non perdonerà Barbarani, che sarà costretto a sua volta, in pratica a fuggire, destinazione Londra. Anche se nel 1998 tornerà a Santiago come ambasciatore.
Diego Zandel
Emilio Barbarani, Chi ha ucciso Lumi Videla?, Mursia, pag. 304, €. 19,00
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