sabato 30 giugno 2012

$ - FORMAZIONE DELLA BIBLIOTECA

4 – FORMAZIONE DELLA BIBLIOTECA

Non ricordo com’erano ordinati i libri nella mia biblioteca quand’ero ragazzo. Probabilmente stavano insieme per volumetria, per dimensioni fisiche, dal più alto al più piccolo e, naturalmente, senza distinzione di genere, trattandosi solo di narrativa. Non ricordo neppure dov’erano sistemati, se c’era un particolare scaffale. E’ un dato di fatto, però, che i libri, già allora, cominciavano a occupare spazio. Si rese, pertanto, necessario, a un certo momento, predisporre, nella mia cameretta, una  libreria. Così i miei genitori ne ordinarono una al falegname.
Si decise per un mobile unico, che servisse anche da armadio. Il falegname costruì  un mobile alto, di noce chiara, composto di tre parti uguali, una delle quali consisteva nell’armadio vero e proprio a due ante, per i vestiti, e le altre due parti alla libreria, i cui scaffali, nell’ordine di cinque da una parte e cinque dall’altra, poggiavano su un paio di canterani, chiusi da sportelli. Il mobile occupava quasi interamente una parete, fatto salvo, da un lato, lo spazio necessario all’apertura della porta e, dall’altro, accanto alla finestra, a una poltroncina di similpelle, verde, che sarebbe diventato il mio angolo lettura.
Crescendo, acquistando sempre nuovi libri, quegli scaffali risultarono a un certo punto insufficienti. Tanto da rendere necessaria un’altra libreria, che chiesi ai miei genitori come regalo per il mio diciassettesimo compleanno. Allora, già con la vocazione dello scrittore e il mito di Hemingway  in testa,  tra i tanti libri di lui che possedevo, comprese  diverse biografie, mi ero imbattuto in uno contenente alcune sue fotografie. Una di esse, che solo recentemente - per averla vista esposta alla libreria Feltrinelli in Galleria Alberto Sordi a Roma - ho saputo essere di Inge Feltrinelli, ritraeva lo scrittore addormentato sul pavimento, con la testa poggiata sul cuscino di una poltrona  e, sullo sfondo, una libreria a mezza altezza colma di libri. In altre fotografie avrei ritrovato quella stessa libreria, sul ripiano della quale Hemingway aveva piazzato la macchina da scrivere, sulla quale scriveva stando in piedi. Fu quella libreria che indicai al falegname come aggiunta alla prima. E, naturalmente, anch’io, per un certo tempo, quando quella libreria entrò in casa, sistemai su di essa la mia Olivetti 22, fino a quel momento posata su una scrivania, tutta cassetti, che mio padre aveva prelevato dai mobili in disarmo del suo ufficio all’Adriatica navigazione. E, naturalmente, presi a scrivere anch’io, d’allora, seppur per un breve periodo, in piedi.
Per diversi anni queste  due librerie mi hanno accompagnato  nella vita, arredando prima la mia cameretta di ragazzo e poi, dopo essermi sposato, lo studio della mia attuale casa, non senza però prima aver provveduto a guadagnare, nella libreria armadio, altri cinque scaffali ottenuti riducendo l’armadio alla misura dei due canterani.
Più tardi, quelle due librerie, esclusa la hemingwayana che tuttora occupa una mezza parete del corridoio di casa,  sarebbero state, negli anni, sostituite da tutta una serie di librerie che sarebbero andate a tappezzare  di libri le pareti, tutte, del mio studio e, in parte, del mio appartamento, andito, corridoio e soggiorno.
Né poteva essere altrimenti: i libri che giornalmente entravano in casa, e continuano a farlo, sono davvero tanti.
Questo, realisticamente, è da imputare alla mia attività pubblicistica, di recensore di libri e di attualità letteraria, che, dall’inizio degli anni Ottanta è aumentato progressivamente grazie alla mia sempre più intensa collaborazione con i giornali, in particolare con il quotidiano romano “Paese Sera” e, quindi, “L’Unità”,  così entrando nel giro degli uffici stampa delle case editrici, pronti a mandarmi ogni tipo di novità perché ne scrivessi.  Non avendo mai smesso di farlo il flusso non si è  arrestato. Naturalmente, a questi vanno aggiunti quelli che io, con una certa frequenza acquisto personalmente, non sapendo, di fronte a un titolo o a un autore interessante, trattenermi dal farlo ogni volta che entro in libreria o mi fermo a una bancarella. Un vizio che mi porto dietro, più forte di me e che sicuramente va a incidere negli spazi di casa e, come non manca ogni volta di sottolineare mia moglie, nel bilancio famigliare. Credo che ora il numero di libri che, complessivamente,  possiedo arrivi  a circa 2000 (potrebbero essere di più, ma molti li ho regalati o venduti) e la loro sistemazione in casa non è l’unico problema.
Infatti, un altro è che una massa di libri del genere, oltre a richiedere spazi adeguati,  impone un ordine e un relativo sistema di classificazione che faciliti il ritrovamento dei titoli e degli autori, compito altrimenti arduo. Le soluzioni che, a riguardo, ho adottato nel corso degli anni sono state le più varie. Non è stato semplice trovarne una definitiva (alla quale, comunque, come si vedrà non sono ancora del tutto pervenuto).
All’inizio, e per alcuni anni, l’ordine è consistito in una semplice divisione tra generi - narrativa, saggistica e poesia - i cui volumi erano divisi per casa editrice e, quindi, per collane. L’uguaglianza dei volumi nell’altezza, nella dorsatura e nella grafica di copertina, premiavano la visione estetica dell’insieme, ma anche, spesso, partendo dalla conoscenza di quale era l’editore di un certo autore od opera, di rintracciare subito il libro. Ciò era possibile in virtù della sopravvivenza, almeno fino agli anni Ottanta, di un patto di fedeltà tra editore e autore che le impietose leggi di mercato oggi hanno rotto, per cui d’allora l’editore non fa più lui il mercato con le sue proposte di titoli e le sue cosiddette scuderie di autori, bensì vi si è sottomesso, puntando  più su una presunzione di commerciabilità  di un titolo o di un autore (quasi sempre celebrato dalla televisione o dal calcio) che su una propria politica editoriale all’insegna della qualità, del gusto,  dell’esperienza e della continuità autoriale (ad esempio, lo scrittore istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini vendeva poco, ma Einaudi non esitava a continuare a pubblicare i suoi libri).
Presunzione di vendita, perché per i libri non è mai data per scontata e varia da titolo a titolo, valendo per essi la stessa affermazione che François Truffaut ha espresso per i film, e cioè che “non sono scatole di conserva. Come gli uomini, devono essere presi e considerati uno per uno”.  L’errore gravissimo, a riguardo, è stato invece quello di affidare  la politica editoriale, e quindi le scelte dei libri stessi, alle mani del marketing che ritiene sia possibile trattare i libri come qualsiasi altro prodotto di mercato.  Interessanti, a riguardo, i ricordi di Evaldo Violo, direttore per trent’anni della BUR Rizzoli, che nel suo libro intervista con Marco Vitale “Ah, la vecchia BUR!” (Edizioni Unicopli, 2011) ricorda: “Il direttore del marketing, quello che ha rivoluzionato il modo di lavorare alla RCS era un ingegnere. Una persona a modo e simpatica, ma che non sapeva niente di libri. Oggi credo che lavori in un’azienda di sanitari, ma per lui è la stessa cosa: il marketing funziona dappertutto”. E, naturalmente, in questo caso ci scappa una bella risata.
Ma non era solo la Rizzoli ad essere guidata così. Anche la Mondadori non scherzava. Personalmente, il segnale, in qualche modo lo ebbi quando vidi che Mario Soldati, autore fin dall’inizio della Mondadori, si vide rifiutare il suo libro di articoli sul “mundial” del ’82, dopo che  - per quel che ricordo della polemica - del suo bellissimo romanzo “L’incendio”, pubblicato da Mondadori nell’81 con una tiratura di 80.000 copie, si vendettero “solo” 50 mila e 30 mila restarono sul groppone. A nessuno venne in mente che l’errore lì, semmai, fu dell’editore stesso (magari del marketing!). E Soldati, per ripicca, da quel momento pubblicò sia gli articoli sul “mundial” che  i romanzi  successivi con Rizzoli (e oggi solo Sellerio riporta alla ribalta i suoi straordinari romanzi).
Ci furono a riguardo altri cambiamenti di squadra. Soltanto tra i miei scrittori più amati, ad esempio, in quegli stessi anni Stefano Terra, autore che aveva un rapporto privilegiato con Bompiani passò – forse per un convincimento del suo agente letterario Erich Linder -  a Rizzoli, con il quale pubblicò due romanzi “Le porte di ferro” e “Albergo Minerva” prima di tornare a pubblicare, definitivamente, con Bompiani. Fu per una volontà di Terra stesso, per nulla contento del trattamento della Rizzoli, a tornare con il vecchio editore. A spingerlo a fare il passo indietro fu anche l’emergere devastante dell’affare P2 di Licio Gelli che avrebbe portata la Rizzoli al fallimento, favorendo la fuga di molti altri autori.
Ciò vale anche per gli autori stranieri. Sempre tra i nomi da me amati, ad esempio, Lawrence Durrell, e addirittura relativamente a una sua opera unitaria come il “Quartetto di Alessandria” che, seppur composta da quattro romanzi autonomi, Justine, Balthazar, Mountolive e Clea, ha avuto i primi due titoli pubblicati da Longanesi e i due successivi da Feltrinelli. Per non parlare poi  degli altri suoi libri sparsi tra diversi editori, da Giunti a Bompiani alla Sugar, da Fazi al Saggiatore e, infine, a Einaudi, che ha ripubblicato il Quartetto.
Ma proprio l’esperienza con Lawrence Durrell e Stefano Terra, così come con altri autori che ho amato e raccolto, da Eric Ambler  (Garzanti, Mondadori, Rizzoli, Adelphi) a Fulvio Tomizza (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Marsilio)  ed altri, hanno messo in evidenza i limiti della disposizione della biblioteca per case editrici e collane.
Ecco che, a quel punto, ho capito che l’unico modo per mettere ordine a tutto era sistemare i libri, oltre che per genere,  per stretto ordine alfabetico di autore. Mi sono dato pertanto da fare in questo senso, un lavoro che, dato il numero dei libri, mi ha preso diversi giorni. Ho considerato questo  un passo fondamentale, anche se poi ho dovuto constatare che non era sufficiente, mentre anche dall’esperienza altrui ricavavo che, pur sembrandolo, non rappresentava, da sola, una sistemazione ottimale. Almeno non per tutti, presentando problematiche di altro genere.
Ad esempio, lo scrittore spagnolo Jesus Marchamalo  nel suo “Toccare i libri”  racconta che per alcuni colleghi come, ad esempio, Susan Sontag “era intollerabile che Platone e Pynchon potessero condividere lo stesso scaffale” e pertanto, invece dell’ordine alfabetico,  suggeriva  “un rigoroso ordine cronologico cominciando da Aristotele, per esempio, per finire con David Leavitt”. Però è anche vero, sottolinea Marchamalo, che quest’ordine presuppone una conoscenza, almeno sufficiente, della storia della letteratura per evitare confusioni, tanto da ammettere egli stesso che farebbe “una gran fatica a decidere tra Maupassant e Poe: francamente non saprei proprio dire chi dei due sia più giovane, e lo stesso tra Rimbaud e Zola”.
In alternativa, si potrebbero disporre i libri, sempre in ordine alfabetico d’autore, ma sistemati in scaffali dedicati alle diverse  letterature di appartenenza. E,  magari, all’interno di questo schema, in sottordine, rispettare appunto, chi lo preferisce, l’ordine cronologico al posto di quello alfabetico, anche se quest’ultimo, dal punto di vista pratico, ritengo personalmente  sia più  efficace.  Anche se m’è capitato, ad esempio, di cercare un certo libro, ma di non ricordarmi il nome dell’autore e, pertanto, avere qualche difficoltà a trovarlo.
Abbastanza recentemente, ad esempio, proprio per scrivere questo libro, cercavo l’autrice de “La lettrice”, che ricordavo anche essere francese e pubblicata da Guanda. Non c’era verso di ricordarmi il nome (in questo caso, forse, perché era troppo semplice). Ho dovuto pertanto  prendere la scala e cominciare a scorrere tutti dorsi dei libri per cercarlo, partendo appunto dalla lettera A che, essendo capolettera, si trova sugli scaffali alti. Per fortuna,  l’ho trovata subito, trattandosi di cognome: Annie, e di nome: François. Ma questi inconvenienti si incontrano spesso.  
Questo e altri aspetti relativi al  problema del  facile reperimento dei  libri mi hanno spinto alla conclusione che la formazione di una biblioteca personale deve avvenire solo in parte seguendo schemi generali, per il resto, più specificatamente,  corrispondere a quelli che sono gli interessi di chi la realizza e possiede, per meglio essere in sintonia con le proprie personali esigenze. Da qui la decisione di suddividere la mia biblioteca oltre che nei tre generi tradizionali – narrativa, saggistica, poesia – in ulteriori  suddivisioni all’interno dello stesso genere, estraendo da ciascuno di essi quei libri e autori verso i quali vanno i miei interessi personali, di piacere e di lavoro.
Così è avvenuto che, dopo una  prima ulteriore suddivisione della saggistica per aree di interesse generale e generico (storia, politica, filosofia, spirito, psicanalisi, attualità) e per la narrativa  a una  suddivisione tra narrativa italiana, narrativa straniera e gialli, solo  più recentemente, dopo la ristrutturazione di una parte della casa, sono pervenuto a una soluzione apparentemente definitiva, aggiungendo tre sezioni che riguardano i miei interessi e gusti  personali: letteratura e storia istro-giuliano-fiumana,  letteratura e storia della ex Jugoslavia, letteratura e storia della letteratura neogreca.  Ci sono arrivato, pertanto, per approssimazione continua ed esperienza accumulata nel corso degli anni: per molti anni, infatti, sia la narrativa, così come la saggistica e la storia relativa oggi alle rispettive sezioni,  erano reperibili nei macrosettori. Il che però, francamente, ricorrendo più spesso a queste che ad altre materie e autori, disturbava. Così  invece tutto si è semplificato, tanto da giudicarla, ai miei fini, la soluzione ottimale.
Ma è definitiva? Devo dire ancora che la risposta è no. Mi frulla in testa, infatti, un’altra idea: quella di estrarre dall’ordine alfabetico e, quindi, dalle singole sezioni quelle che rappresentano le collane storiche dell’editoria italiana, collane ormai chiuse, che raccolgono autori e opere che hanno fatto la cultura del secondo dopoguerra. La mia idea sarebbe quella di raccogliere in particolare due collane rimaste memorabili come “I Delfini” della Bompiani e “La Medusa”  della Mondadori.
Della prima, una tra le più belle e significative del dopoguerra, conservo diversi autori e romanzi da “Lord Jim” di Conrad (la seconda edizione del 1963), pur avendo comprato i due volumi Bompiani che contengono, tra gli altri, questo romanzo, mentre, proprio per aver comprato il volume delle “Opere” di Camus, dei Classici Bompiani, ho dato stupidamente via “Lo straniero”.  In compenso, della collana, posseggo diversi romanzi Cronin, Caldwell, Steinbeck,  il Patti de “Il punto debole” e il Piovene di “Lettere di una novizia”, ma anche, per tornare a Stefano Terra, il suo “La fortezza del Kalimegdan”, numero 231 della collana, uno degli ultimi. La grafica di copertina, anzi della sovra coperta, della collana consiste in un fondo dal colore diverso per ogni titolo, con al centro, in un ovale, un disegno, di Maria Luisa Gioia o Giovanni Mulazzani o, addirittura, una fotografia, che in qualche modo richiami la trama.
Tutto il contrario della mondadoriana  Medusa,  passata alla storia per la copertina verde, lineare, che incornicia il fondo bianco sul quale sono riprodotti nome dell’autore e  titolo del libro mentre al centro emerge la testa della medusa.
Di questa collana ho molti titoli, da quel “Per chi suona la campana” di Hemigway, regalatomi dalla zia triestina a “Quaderni di guerra del sergente Costula” del greco Stratis Myrivilis, di cui ho proprio la prima edizione del 1965, a uno degli ultimi romanzi della collana “Ricatto internazionale”, numero 534, dell’amato Eric Ambler. Da qualche tempo, ho deciso di procedere alla raccolta dell’intera collezione sia dei Delfini che della Medusa, acquisendo i volumi via via che mi imbatto in essi girando tra le bancherelle e le librerie dell’usato senza però farne un’ossessione, quella propria e folle dei collezionisti.
Un’altra collana che  meriterebbe  essere  raccolta è quella della BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli, quella vecchia, originale, grigia con i nomi dell’autore e i titoli in bodoni, che rappresentava la summa della cultura tradizionale. Su di essa, Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani e noto bibliofilo, ha scritto un memoir in cui racconta l’avventura che l’ha portato a mettere insieme, uno ad uno, tutti i volumetti che la compongono. Personalmente, pur possedendo ancora qualche volume della collana, non me la sento però di imitarlo.
Sempre della Rizzoli, piuttosto, e vedrò se aggiungerla alle altre imprese,  mi stuzzica la collana La Scala, limitatamente ai volumi le cui copertine godono della grafica astratta a firma di Dagrada. Di questa conservo, tra gli altri, il Bevilacqua di “Questa specie d’amore”, che mi era stato regalato da alcuni amici per il mio diciottesimo compleanno, così come “La cosa buffa” di Giuseppe Berto, che porta la dedica di mio padre “Al mio caro Diego, con amore, papà”, Natale 1966,  e  la dedica dello stesso Berto, per il quale stravedevo, e papà lo sapeva. Lo sapeva anche Anna, che più tardi sarebbe diventata mia moglie, che mi regalò il capolavoro di Berto “Il male oscuro” (pubblicato, però, in una collana a parte). E proprio alla presentazione a Roma di quest’ultimo titolo ero andato con tutti i  libri di questo scrittore sotto il braccio per vedere e ascoltarlo e poi farmi fare la dedica, che infatti compare nella pagina successiva a quella in cui c’è quella di Anna.
Ci sarebbero altre collane, belle e unitarie nella grafica così come nella idea editoriale che meriterebbero di essere raccolte: penso a “I Narratori Feltrinelli”, che rappresentava negli anni sessanta la narrativa sperimentale, d’avanguardia, nata con il Gruppo ’63, distinta graficamente in due linee, una sotto la quale si raccoglievano prevalentemente i narratori italiani e un’altra quelli stranieri.  La Narratori a prevalenza italiani era una collana molto originale, pur nella sua estrema semplicità compositiva: copertina cartonata, senza sovracoperta, di colore diverso per ogni titolo, che si poteva leggere in alto a corpo di scatola così come il nome dell’autore in basso, mentre quella straniera aveva la sovracoperta con la foto dell’autore in bianco e nero e il suo nome in corsivo accanto al titolo a corpo di scatola. Uscirono qui i due libri “Mountolive” e “Clea” che mi fecero conoscere Lawrence Durrell, autore le cui pubblicazioni avrei seguito per tutta la vita, non solo in italiano ma anche – se capitatemi sotto mano – in francese e in inglese.
Ma  se facessi ciò ritornerei troppo indietro come classificazione, ai primi tempi quando la mia biblioteca era, appunto, divisa per editori e collane, con gli inconvenienti che ho detto. Se sarà, ma resto ancora e sempre nel dubbio proprio per questi motivi, mi limiterò a I Delfini e alla Medusa. Se sarà, in quel caso è chiaro che un volume come “I quaderni del sergente Costula” di Myrivilis dovrà trasmigrare dalla sezione neogreci in cui si trova per prendere il suo posto con il numero 497 sugli scaffali Medusa, così come “Cristo di nuovo in croce” di Nikos Kazantzakis il 361, lasciando orfani gli altri titoli, anche in inglese e francese, che ho di questo autore nella sezione greca. Per i Delfini il problema si porrà per Terra, per Caldwell, per Cronin e così via.
Ne vale la pena?  Non è che a furia di suddivisioni si rischia  una nuova dispersione? Già i miei figli, abituati per anni a trovare gli autori che preferiscono al loro posto nell’ordine alfabetico, lamentano ora una certa difficoltà a orientarsi.
Forse solo disponendo di un database, con tutti gli elementi: autore, titolo, editore, categoria, argomento. Questo, però, eventualmente  dovevo farlo fin dall’inizio, ora si renderebbe molto oneroso in termini soprattutto di tempo. Anche se conosco chi l’ha fatto, come Raffaele Nigro, che ha predisposto il tutto per una futura donazione, e Andrea Kerbaker, bibliofilo appassionato, che ha numerato ogni volume della sua biblioteca, dal numero 1 al 10.000 ( sul quale ultimo ha scritto un romanzo,  intitolato, appunto “Diecimila – Autobiografia di un libro”, edito da Frassinelli), anche se quel numero, c’è da immaginare, è più che superato, visto che il libro è stato pubblicato originariamente nel 1999 da Scheiwiller.
Per ora, le uniche due collane che si sono fatte da se e risultano separate dalla biblioteca così come l’ho finora concepita sono quelle dei classici greci e romani, contenuti  nella collana dei Meridiani (cover rossa), che ho completa e la più recente “I classici dell’avventura” del Corriere della sera, acquistati, gli uni e gli altri, in edicola settimanalmente. Mentre mi sono liberato dei doppioni dei classici greci e latini (massimamente della BUR diretta da Evaldo Violo) non ho ancora proceduto a eliminare i doppioni dell’avventura, che farò quanto prima. E sarà l’occasione buona per ripassare ancora una volta lungo i scaffali, il che rappresenta un grande piacere, richiedendo l’operazione una nuova sistemazione e riavvicinamento tra i titoli. Infatti,
la presa fisica dei libri, gli spolveramenti, accompagnati immancabilmente dalla rilettura di certi risvolti o quarte di copertina, anche di qualche pagina interna o dell’indice, mi aiutano a entrare di nuovo in contatto con i singoli testi, e non di rado con non poca sorpresa: un libro che pensavo di non avere e che invece ho già, oppure sapevo di averlo ma, nello scorrere il risvolto e trovandolo meritevole di interesse, mi riprometto di leggerlo quanto prima, decidendo così, come se si trattasse di un nuovo acquisto, di inserirlo nelle letture in programma per il breve (anche se questo tempo breve poi, inevitabilmente, si allunga e qualche libro si trova a prendere o a riprendere, intonso, la via degli scaffali).
Comunque, quella della biblioteca e della sua formazione, sia per ragioni visive che tattili, fisiche, è un’esperienza  unica che l’elettronica, pur con i suoi tanti pregi, non potrà mai dare, anche se è indubbio che, più i libri sono tanti, più si necessiti di quei supporti multimediali che, con pochissimi comandi, ti consenta di arrivare direttamente a un autore, a un’opera o pagine di essa.
Il mio amico Franco Paolini,  purtroppo recentemente scomparso, che è sempre stato un patito dell’elettronica, aveva idee chiare a riguardo: “Io ho tutta la letteratura italiana in cinque CD”  mi aveva detto “ e in altri cinque CD quasi tutta la poesia del mondo. Certo, non sono da leggere come si fa con i libri. Ma queste opzioni informatiche sono utilissime per la consultazione. Non ti è mai capitato di non ricordare un verso o un passo di un autore? Ebbene, con i CD non ci vuole molto: il tempo di accendere il computer. E inoltre riescono pure a soddisfare la necessità di ‘possesso’.”
Non so quanto sia vero. Personalmente ritengo che soltanto se uno possiede fisicamente il libro e, individuato, può andare a prenderlo, stringendolo tra le mani, prova quella gioia che nessun altro supporto, tanto meno informatico, può dare. E’ come fare l’amore con una donna virtuale e una in carne e ossa. Credo che i sensi, in quest’ultimo caso, partecipino molto di più.     
In questo senso,  però, se i libri sono davvero tanti, non si rischia di disperdere l’obiettivo per cui compriamo o, comunque, ci impossessiamo dei libri, ovvero di leggerli?  A riguardo, lo scrittore francese Georges Perec, in un libretto intitolato “Brevi note sull’arte e il modo di riordinare i propri libri”,  risolve un po’ il problema  rispondendo a una sola domanda: a quanti libri limitare la propria biblioteca di casa dando per scontato che chi li ama continuerà a comprarli finché vive o, se è uno scrittore o un critico, anche a riceverli dalle case editrici? A riguardo Perec porta l’esempio di un suo amico, che, secondo certi calcoli, ha stabilito un tetto di 361 opere. E’ importante la distinzione tra opere e, ad esempio, libri o volumi, perché ci sono opere – pensiamo alla “Recherche” di Proust o lo stesso “Quartetto di alessandria” di Durrell - che  risultano complete in più volumi. E questo è un dettaglio che viene molto ben analizzato da Perec, ma anche dal già citato Marchamalo, il quale sull’argomento dedica un intero capitolo, partendo dalla considerazione che nel mondo ogni 30 secondi viene pubblicato un libro. Da qui l’impossibilità di tenere tutto e l’importanza di disfarsene in gran parte per concentrarci, come alla fine sono io stesso pervenuto, sui libri più in sintonia con noi, con i nostri interessi, con i nostri piaceri e i nostri autori preferiti, lasciando poi che tutto il resto sia sottomesso a una sorta di legge che faccia giustizia sommaria di quei libri e quegli autori che non rientrano in questo schema.  
Anche se, ovviamente, non sono solo questi i libri che io ho salvato e conservo.
Però, a riguardo, una regola per il futuro me la sono data: il numero di libri in casa non dovranno essere di più degli scaffali che li contengono. Nel senso che non farò nuove librerie e i libri nuovi che eventualmente entreranno prenderanno il posto di altri, o saranno gli stessi nuovi libri entrati in casa ad andarsene, secondo criteri di scelta personale.  Per fortuna, come ho detto, periodicamente, in occasione dello spolvera mento dei libri, mi trovo a riordinarli e questa è una grande occasione per stabilire di quali libri liberare gli scaffali predisponendo lo spazio ad altri. Libri che prenderanno la strada delle bancarelle, delle librerie dell’usato. I libri che so non leggerò più, che non mi ispirano la voglia di leggerli (perché talvolta basta questa, la speranza che un giorno lo farò, a trattenerli). Resteranno alla fine solo quelli che sento come parte del mio mondo, quasi un’estensione di me.







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